Reflation Analog - 1940 vs 2020

Analogie fra reflazione negli anni 40 e quella attuale - Grafico a cura di Fidelity

I mercati finanziari nelle ultime sedute stanno soffrendo il rischio di una fiammata inflazionistica che potrebbe far aumentare i prezzi delle materie prime e, conseguentemente, innescare un aumento del costo del denaro da parte delle Banche Centrali (FED USA in testa) attraverso l'aumento dei tassi d'interesse in modo tale da limitare una possibile crescita incontrollata dei prezzi.

Il ruolo delle Banche Centrali, in questa circostanza, è quello di mantenere lineare la ripresa economica attraverso l'immissione di liquidità nel sistema economico (vedasi grafico del 9 febbraio 2021) e sostenendo i governi attraverso l'acquisto di debito governativo ma, allo stesso tempo, evitare che questo continuo sistema di supporto all'economia possa scatenare una crescita incontrollata ed il propagarsi di bolle in alcuni settori attraverso piani di rientro quali un programma di riduzione dell'acquisto dei titoli di Stato (che servono a finanziare gli aiuti economici) e/o un aumento dei tassi (che porta ad un aumento del costo del denaro per imprese e privati).

L'aumento dell'inflazione (con la conseguente manovra delle Banche Centrali di aumentare il costo del denaro per fermarne la crescita) è vista come un fattore marcatamente negativo per i mercati azionari; riduce i margini per le aziende ed espone le aziende con alto indebitamento a maggiori costi per il finanziamento (nel caso di intervento delle Banche Centrali nell'aggiustamento - al rialzo - dei tassi).

L'effetto reflattivo si ha nel momento in cui, a causa di una fase di contrazione dell'economia, le Banche Centrali immettono liquidità nel sistema economico in modo da portare nuovamente l'inflazione ai livelli ottimali di lungo periodo. Questa operazione richiede una crescita dell'inflazione nel breve termine al di sopra della media storica per riportarla all'obiettivo di lungo periodo.

Tale operazione è vista dai mercati finanziari come pericolosa per la possibile erosione dei margini delle aziende, nella realtà un esempio precedente quale quello riportato nel grafico, ha dimostrato che non sempre la reflazione sia un fattore negativo per i mercati azionari.

Guardando il grafico infatti si nota come in una prima fase di contrazione dei mercati (dovuta alla recessione) la successiva politica reflazionistica spinta dalla Banca Centrale non abbia intaccato in maniera determinante la crescita dell'indice azionario S&P500 (SPX) ma, al contrario, abbia eroso vistosamente il rendimento reale dei titoli di Stato americani (grafico in basso).

Questa analogia fra il 1940 ed i giorni nostri può far pensare che una gestione della ripresa inflazionistica in maniera ben calibrata - con un conseguente aumento del costo del denaro - possa non essere del tutto un fattore negativo per i mercati finanziari nel medio periodo.

Al prossimo grafico,
Federico Rossi - Consulente Finanziario



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