Le azioni sono costose? La storia del Price Earning Ratio


Come è possibile che i mercati azionari (soprattutto quelli statunitensi) abbiano recuperato le perdite di marzo mentre gli utili delle aziende quotate sono in calo e le economie impiegheranno qualche anno prima di recuperare la perdita creata dal virus?
La situazione attuale ci evidenzia quotazioni alle stelle...giustissimo, ma ciò non significa forzatamente che le azioni siano care.

Dati Thomson Reuters Eikon

Il grafico riportato sopra ci mostra l'evoluzione nel tempo di uno dei principali indicatori che viene utilizzato in analisi finanziaria: il rapporto tra il prezzo delle azioni e gli utili delle aziende (price/earning). Questo indicatore ci misura quante volte il prezzo delle azioni è rapportato rispetto agli utili che le stesse possono generare/distribuire. Un P/E basso quindi ci indica un'azione che quota poco rispetto agli utili (effettivi/prospettici) che l'azienda stessa può generare, al contrario un P/E alto ci dovrebbe indicare che quel titolo azionario è molto costoso (quota molto rispetto agli utili/dividendi che può generare/distribuire).
Come è possibile vedere, a causa del calo degli utili attesi delle aziende e dell'aumento dei prezzi delle azioni, il rapporto P/E si è alzato, portatosi su alcuni mercati (soprattutto USA) ai livelli del 2000 (la bolla delle dot-com), anno in cui si è poi scatenata una crisi durata circa due anni.

Ma l'analisi del rapporto P/E (che viene spesso decantata come la cartina di tornasole sulla salute dei mercati finanziari) è un indicatore assolutamente valido?
No, il paragone fra la situazione attuale e quella del 2000 è improprio in quanto il P/E è un indicatore assoluto che viene però determinato attraverso una comparazione di due indicatori (prezzo delle azioni ed utili delle aziende) di per se relativa.

E perché, Federico, parli di relativismo?
Vediamo il successivo grafico.


Dati Thomson Reuters Eikon


Come evidenziato dal grafico qui sopra (che raffronta il rendimento P/E ed il rendimento globale obbligazionario) attualmente le azioni possono mediamente offrire un rendimento medio del 5% (calcolato come rapporto prezzo/utili), stessa circostanza verificatasi nel 2000, poco prima della bolla "dot-com".

Ma che differenza c'è adesso?
Con il taglio dei tassi (taglio del costo del denaro) ed il processo di quantitative easing (acquisto di titoli di Stato) avviato dalle Banche Centrali mondiali (Europa e USA in testa) il rendimento effettivo dei titoli obbligazionari è crollato quasi a zero (arrivando in negativo su scadenze medio/brevi).

E ciò che impatto ha sui mercati finanziari?
L'impatto è che, a differenza del 2000, il rendimento medio delle azioni (stimato al 5%) risulta molto più premiante rispetto alla situazione verificatasi 20 anni fa. In quella circostanza infatti il cosiddetto "premio al rischio" (cioè un "premio" riconosciuto agli investitori che acquistano azioni - tendenzialmente più "rischiose" - rispetto alle obbligazioni - tendenzialmente meno rischiose -) era completamente assente, chi acquistava azioni aveva lo stesso potenziale rendimento delle obbligazioni ma, al contempo, si esponeva ad un rischio maggiore (implicito nei titoli azionari).

E ciò cosa significa?
Il significato è che oggi comprare azioni (a differenza di 20 anni fa) è molto più premiante che acquistare obbligazioni e questo identifica, sotto questo aspetto, un mercato finanziario equilibrato dove un vero "premio al rischio" c'è ed è evidente.
In futuro gli utili aziendali riprenderanno a crescere e, conseguentemente, si ridurranno anche gli indicatori di P/E, i tassi obbligazionari, al contrario, per questioni di ripresa economica (ed inflattiva) non avranno molto probabilmente una crescita così repentina (il costo del denaro non verrà aumentato in maniera repentina da parte delle Banche Centrali) e ciò potrà mantenere intatta questa circostanza di "premio al rischio".

Quali conclusioni quindi?
1) le azioni (ed i mercati azionari) secondo questa analisi non risultano care
2) l'indicatore di P/E, soprattutto in alcuni mercati azionari quali quelli statunitensi, ha una valenza relativa, vi sono molti titoli azionari che nel corso degli anni hanno "convissuto" con indici P/E esageratamente alti (quindi indicatori di un imminente crollo di quei titoli azionari) ma che hanno macinato record su record di quotazioni, pensiamo ad esempio ad alcuni titoli dei settori tecnologici. Ciò perché il mercato americano (ed i prezzi delle azioni americane) guarda molto più avanti dei dati economici (fatturato, utili ecc) e valuta le aziende sulla base dei loro futuri progetti.

Al prossimo articolo,
Federico Rossi - Consulente Finanziario

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